Il video dell'intervento di F. Scrima.
Ripartire dai contratti per fare vera innovazione
Senza contrattazione non vi è vera innovazione. Perché contrattare vuol dire anche partecipare, riorganizzare e innalzare la qualità del nostro sistema di istruzione e formazione. Il Contratto della scuola, nazionale, territoriale e di istituto, è stato una leva essenziale per l’avvio e lo sviluppo dell’autonomia scolastica. Attraverso i nostri contratti abbiamo attivamente sostenuto i processi di cambiamento che nel tempo si sono resi necessari per rispondere in modo adeguato a una domanda formativa sempre più complessa, facendone in molti casi un preciso punto di orientamento delle nostre politiche contrattuali.
Investire sulle professionalità di docenti, personale Ata e dirigenti, adeguare gli stipendi, riconoscere autonomia e funzione sociale dell’insegnamento, stabilizzare il lavoro e nel contempo assicurare parità di condizioni economiche e normative ai lavoratori precari, fa sì che il personale si senta parte di un sistema che riconosce e valorizza con le dovute attenzioni la dignità del suo lavoro. Il contratto nazionale è a questi fini uno strumento essenziale.
Il blocco della contrattazione degli ultimi sette anni, invece, ha prodotto un tempo di “riforme” senza sviluppo e di “cambiamento” senza avanzamento; è quanto avviene anche con la legge 107, che tende a ridimensionare fortemente gli spazi di partecipazione e cooperazione. E' più che mai necessario ridare certezza del diritto sulle competenze della contrattazione, che non può essere demolita “a rate” da ripetute incursioni legislative.
Occorre, dunque, ripartire dai Contratti per fare vera innovazione.
La scuola non è solo il nostro luogo di lavoro: con fatica, passione, impegno la facciamo vivere ogni giorno per gli studenti, le famiglie, la società. E’ luogo in cui si esprime una funzione fondamentale dello Stato: luogo di educazione, istruzione, formazione, fattori fondamentali di coesione e di crescita per tutti. Siamo stati per questo sempre disponibili a farci carico dei suoi problemi, a impegnarci per il suo miglior funzionamento e la sua qualità, anche quando abbiamo dovuto subire politiche sbagliate.
Nessuno pertanto può leggere come atteggiamento di chiusura corporativa il nostro dissenso verso tante parti della legge 107/2015. Di questa legge emergono ogni giorno evidenti errori e carenze, spesso fonte di vere e proprie iniquità. Ma il danno più grave è la compromissione di un equilibrio fra poteri e competenze delle diverse figure operanti nella scuola dell’autonomia, equilibrio che affermatosi e consolidatosi attraverso pratiche partecipate e condivise di progettazione e gestione dell’attività educativa e didattica ne costituisce da sempre uno dei fattori determinanti di efficacia.
L’enfasi posta sui poteri del dirigente, innescando possibili conflitti con prerogative e attribuzioni di altri soggetti; gli stimoli a una più marcata concorrenzialità fra i docenti spacciata per incentivo al miglioramento delle performance; le procedure di una loro chiamata diretta; il depotenziamento delle sedi di confronto e contrattazione, alle quali vengono sottratte indebitamente materie e competenze; l'irresponsabile esclusione dal piano di stabilizzazioni del personale Ata, dei docenti dell’infanzia e di tanti precari che hanno maturato il diritto alla stabilità sancito dalla sentenza della Corte di giustizia europea; una valutazione dei dirigenti scolastici che li assoggetta ai decisori politici incidendo anche sulla loro retribuzione; la mancanza di un piano di investimenti pubblici in linea con la media dei Paesi OCSE; il frequente intreccio fra poteri di indirizzo e di gestione, che dovrebbero rimanere su piani ben distinti; tutti questi elementi sono esposti, con il passare del tempo, a rivelarsi come pericolosi fattori di destabilizzazione degli equilibri tra competenze e poteri, figure e funzioni in un sistema scolastico già oberato di problemi e tensioni. Attraverso politiche sbagliate si continua a impedire che si sviluppino appieno le potenzialità dell’autonomia di una scuola in cui, a un’offerta formativa di qualità, si accompagni una “vera serietà degli studi”, fatta di impegno e responsabilità degli studenti anche rispetto alla loro valutazione da parte dei docenti, alla cui funzione va restituita peraltro la dignità sociale che merita.
Il governo ha scelto di eludere ogni reale confronto nella definizione del suo progetto di “riforma”, ritenendo di poter fare a meno del contributo di conoscenza, competenza, esperienza e professionalità che il mondo del lavoro scolastico avrebbe certamente saputo portare. Anche l’iter della legge è stato segnato da ripetute forzature nei modi e nei tempi di discussione, persino quando erano le forze della stessa maggioranza di governo a rendersi conto della necessità e dell’opportunità di ulteriori momenti di confronto e riflessione (impegno espressamente annunciato dal premier e immediatamente smentito dai fatti).
Oggi abbiamo una legge che conferma le nostre ragioni di dissenso. Da qui l’esigenza di risparmiare alla scuola gli effetti più deleteri che possono scaturirne e di rivendicarne tutte le possibili modifiche, in coerenza e continuità con le straordinarie mobilitazioni unitarie del personale, degli studenti, della società.
Sugli aspetti di incostituzionalità della nuova legge, in primis quelli che appaiono lesivi della libertà di insegnamento, si stanno già attivando, da parte dei sindacati, le necessarie azioni di impugnativa in sede legale.
Vanno nel frattempo sanate le profonde ingiustizie create da un piano di stabilizzazioni rivelatosi alla prova dei fatti estremamente confuso e di corto respiro. Per queste ragioni chiediamo l'apertura di un confronto politico con la Ministra Giannini prima di procedere alla fase C del piano di assunzioni.
Le indicazioni che in questi giorni sono state date unitariamente dai Sindacati a docenti, Ata e dirigenti sono finalizzate alla salvaguardia degli spazi di partecipazione, collegialità e condivisione che le norme legislative e contrattuali vigenti consentono a buon diritto di esigere e praticare, nell’interesse del buon andamento della scuola prima ancora che dei suoi operatori. Esse non sono un’istigazione alla disobbedienza nel confronto di una legge, sono, al contrario, la rivendicazione del dovuto rispetto per tante altre norme mai abrogate, che danno senso e legittimità al principio di una partecipazione responsabile, sostenuta dal valore di una professionalità che si esprime sul piano individuale e collegiale.
Altrettanto importante, e in questa fase assolutamente prioritario per l’azione sindacale, è recuperare gli indispensabili spazi di confronto, negoziato e contrattazione, ad ogni livello, sia per rilanciare l’obiettivo - non più eludibile - di una giusta e doverosa valorizzazione, normativa ed economica, di tutti i profili professionali operanti nella scuola, sia per sostenere attivamente processi di crescita in qualità ed efficacia della scuola pubblica. Questo attraverso scelte condivise su tutti gli aspetti che attengono la regolazione del rapporto di lavoro, a partire da quelli riguardanti l’impiego delle risorse destinate alle retribuzioni del personale, in forza dell’esplicita attribuzione di questa materia alla disciplina negoziale prevista dalla normativa vigente, molto chiara anche nel riconoscere la rappresentatività dei lavoratori.
La stagione di un rinnovo contrattuale nazionale deve aprirsi immediatamente, anche alla luce del recente pronunciamento della Corte Costituzionale. Non sarebbe tuttavia sufficiente fare di questo appuntamento il mero adempimento di un obbligo: occorre che tutti, a partire dal governo, lo colgano e lo vivano come una straordinaria opportunità di innovazione, di democrazia e di investimento sulla scuola pubblica, definita dai padri costituenti Organo Costituzionale. Perché investire sulla cultura è promozione di futuro.
Alla richiesta di immediata apertura del negoziato sul rinnovo del contratto nazionale, indispensabile prima di tutto per un doveroso recupero salariale dopo un blocco protratto per anni, si accompagna quella di riconoscere la dovuta attenzione e il giusto valore alla contrattazione d’istituto come fattore che concorre in modo determinante al buon governo e all’autonomia delle istituzioni scolastiche.
La contrattazione rappresenta infatti uno strumento essenziale di rappresentanza e di sintesi fra esigenze, attese e interessi, ma anche di supporto a un’ottimale organizzazione del lavoro. È anche la sede in cui più efficacemente si può agire per prevenire e risolvere tensioni e conflitti. La chiarezza e la trasparenza delle regole sono al tempo stesso un risparmio e una modernizzazione delle Istituzioni Pubbliche. In questo senso le decine di migliaia di persone attivamente impegnate nelle RSU devono essere considerate una risorsa preziosa non soltanto per il sindacato, ma per tutta la nostra scuola.
Queste ragioni e questi obiettivi definiscono una piattaforma rivendicativa su cui l’iniziativa dei sindacati proseguirà, a partire dall’assemblea nazionale di venerdì 11 settembre p.v. a Roma, e si snoderà per tutto il personale docente, ATA e dirigente attraverso azioni territoriali cui seguirà, oltre a quanto potrà essere attivato in ambito regionale, una giornata di mobilitazione nazionale nel mese di ottobre.
Roma, 10 settembre 2015